È stato chiamato Il Gatto Rosso, Il Muro Sovietico, L’Uomo che Parava l’Impossibile. Ma dietro i riflessi fulminei e lo sguardo gelido, c’era molto più di un semplice portiere. Questo è Rinat Dasaev.
Nato ad Astrakhan nel 1957, figlio di un carpentiere e di un’operaia, Dasaev si avvicina al calcio quasi per caso. Giocava in difesa, finché un giorno mancava il portiere… e da quel momento non uscirà più dai pali.
Negli anni ‘80, diventa il simbolo dello Spartak Mosca e della nazionale sovietica. I suoi voli plastici erano celebrati come opere d’arte, ma anche come armi del regime. Sì, perché Dasaev era molto più di un atleta: era la propaganda perfetta. Silenzioso, disciplinato, imbattibile. Il Partito lo amava.
Nelle partite internazionali, ogni sua parata era una vittoria simbolica sul mondo occidentale. Ai Mondiali del 1982 e del 1986, e all’Europeo del 1988 – dove fu nominato miglior portiere – rappresentava la fierezza dell’URSS. Ma dietro quella calma glaciale si nascondeva un uomo tormentato.
Nel 1988, il mondo rimane scioccato: Dasaev si trasferisce al Siviglia. Un portiere sovietico nel cuore della Spagna franchista di poco prima? Era uno choc politico e sportivo.
Ma l’esperienza all’estero fu difficile. Nostalgia, lingua, infortuni. E soprattutto, il muro stava crollando. L’URSS non esisteva più. Anche il mito Dasaev sembrava sgretolarsi.
Con la caduta del regime, anche la sua vita privata finisce sotto i riflettori. Divorzia, cade in depressione, e per un periodo sparisce dal calcio. Si dice abbia fatto anche il tassista a Mosca.
Ma come ogni leggenda, anche Dasaev è tornato. Oggi lavora come allenatore dei portieri e ambasciatore del calcio russo. Più che un eroe, è un sopravvissuto.
Rinat Dasaev non ha solo parato gol: ha parato la storia. Silenzioso, elegante, eterno. L’ultimo portiere dell’Impero.